Il tamtam mediatico innescato dalla terribile vicenda di Noa Pothoven, la 17enne olandese che ha scelto di non mangiare e non bere più per mettere fine alle sue sofferenze e la concomitante notizia della “kill pill”, la pillola che consentirà ai cittadini olandesi che hanno compiuto 70 anni di andarsene serenamente e in maniera del tutto legale ingurgitando appunto una semplice pastiglia con un po’ d’acqua, ci ricorda quanto siano enormi e terribilmente scivolose le questioni bioetiche.
Detto questo, non mi pare proprio il caso di fare dell’Olanda un modello di liberalismo e di democrazia.
La mia idea è che tanto l’eutanasia quanto il suicidio assistito dovrebbero essere normati il meno possibile dallo stato.
Perché, come succederebbe in una puntata di Black Mirror, il rischio è che in casi come questi sia l’esistenza stessa della legge e/o dello strumento tecnico attraverso il quale la legge si esprime a consolidare nel tempo l’habitus morale, legittimando e incentivando tale pratica oltre ogni misura. L’eutanasia diretta è legale in Olanda dal 2002 e nel frattempo i casi di dolce morte sono aumentati esponenzialmente.
Non voglio banalizzare la questione. Ma nella testa di quanti adolescenti, che pure NON hanno vissuto le esperienze terribili che ha vissuto Noa, non è baluginata almeno una volta l’idea del suicidio?! E quanti settantenni smetterebbero di lottare in seguito a una grave malattia che li è stata diagnosticata semplicemente perché nel frattempo è andata diffondendosi la pratica culturale e tecnica dell’eutanasia?
Perché l’eutanasia è sì una tecnica, ma è anche e soprattutto un protocollo.
E si sa che le tecniche e i protocolli tendono a trasgredire e a rinnegare ciò per cui sono stati originariamente pensati, finendo per diventare qualcosa di totalmente diverso.
Fa molto distopia alla P. K. Dick.
Ma un futuro in cui per andarsene basterà schiacciare un pulsante, azionare un’app o ingurgitare una pillola, non lo trovo esattamente entusiasmante.