C’è solo un aspetto di tutta questa tragica vicenda, i cui effetti sono e saranno sempre di più letali per le nostre vite, su cui concordo pienamente con quel pagliaccio irresponsabile di Vittorio Sgarbi.
Questo cazzo dì coronavirus rappresenta davvero la quintessenza della post-modernità.
Ve l’immaginate un contadino del Trecento che, mentre gli eserciti francesi e inglesi devastano città e campagne e la peste nera sterminava milioni di persone, si mette a fare il simpaticone pubblicando foto ironiche sulla sciagura che ha decimato la famiglia del vicino?
Ve lo immaginate un artigiano di Magdeburgo che, durante la guerra dei Trent’anni, compone uno stornello demenziale sulla sua bottega depredata e su sua moglie violentata dallo spietato esercito cattolico di Wallenstein mentre la peste intanto ha flagellato tutti i suoi parenti?!
Per carità, anche loro esorcizzavano la morte con fabliaux satirici, con Boccaccio e quant’altro ma noi stiamo proprio a un altro livello.
Nel coronavirus c’è (finalmente) la secolarizzazione compiuta.
Non è una punizione dal cielo.
Nessuno invoca Dio, se non per rilanciare con l’ennesimo, simpaticissimo meme.
C’è la trasvalutazione dei valori e il venir meno delle grandi narrazioni, ci sono i conflitti ermeneutici à la Gadamer, i rapporti liquidi di Bauman, la leggerezza calviniana e i labirinti borgesiani, ci sono i rizomi deleuziani e i biopoteri foucaultiani.
Insomma. Non ci stiamo a capire più un cazzo perché siamo nell’epoca della post verità e quindi non c’è un cazzo (o c’è troppo) da capire.
Riempiamo le nostre bacheche di trattati di situazionismo epidemiologico che Guy Debord ci fa una sega.
Certo, moriremo come quegli altri.
Ma vuoi mettere passare a miglior vita con un brioso friccico di cazzonaggine e di coglionaggine post-moderna anziché attraverso le pesantezze e la sacralità della metafisica e delle religioni!?