LA CANZONE CHE HA CAMBIATO IL CORSO DELLA GUERRA

Nella storia reale della Seconda Guerra Mondiale com’è noto Bella ciao non trova posto (secondo la maggior parte degli storici non fu proprio mai cantata durante il conflitto).
Le sue origini sono piuttosto incerte: diventa famosa soltanto nel 1964 grazie al Festival dei Due Mondi di Spoleto e all’interpretazione di Giovanna Daffini, per poi tramutarsi in un successo planetario con gli spagnoli de “La casa di carta” che l’hanno recentemente riportata in auge.
Una hit universale di sinistra che ha forgiato il nostro immaginario sulla Resistenza, anche senza appartenere al repertorio canoro dei partigiani.

C’è una canzone invece che la Seconda Guerra l’ha fatta eccome e da assoluta protagonista, contribuendo fattivamente a cambiarne l’inerzia e a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla sua brutalità.
Scritta dal poeta Hans Leip durante la Prima Guerra Mondiale, viene musicata da Norbert Schultze con una marcetta che aveva scritto per la pubblicità di un dentifricio e portata nei cabaret berlinesi da Lale Andersen che, proprio nel 1939, in concomitanza con l’inizio della guerra, la incide su 78 giri.
In men che non si dica Lili Marleen, la protagonista della canzone, divenne la ragazza più sospirata di tutta la Wehrmacht nazista. A Erwing Rommel, il maresciallo delle Afrika Korps, piaceva così tanto che chiese a Goebbels di inserirla nel programma musicale fisso di Radio Belgrado, diventando la sigla di chiusura delle trasmissioni.
Da 18 agosto 1941, tutti i giorni alle 21:55, i sei milioni di soldati nazisti sparsi per il mondo si struggevano ascoltando la voce di Lale Andersen e le parole melanconiche e nostalgiche del loro poeta, agognando di potere tornare presto a casa.

Per tutta risposta F. D. Roosevelt e i suoi, persuasi che la guerra sarebbe stata vinta anche con la propaganda, chiamarono la più grande diva tedesca vivente, Marlene Dietrich, amatissima dal Führer e da Goebbels, e le chiesero di incidere quella stessa canzone in inglese e di andare in Europa per cantarla alle truppe americane e inglesi, programmandola a loro volta come brano di chiusura delle trasmissioni di Radio Londra, l’emittente alleata.
La voce roca e sensuale di Marlene accompagnò i soldati alleati fino alla conclusione del conflitto, e sulla strada di ritorno verso casa.
Negli ultimi due anni della guerra Lili Marleen diventò la canzone preferita dai combattenti di entrambi gli schieramenti.
Un inno antimilitarista di fratellanza tra i soldati.
Le parole di Hans Leip raggiunsero Francia, Polonia, Italia, Russia, Egitto, Libia e vennero tradotte in moltissime lingue.
Non è importante sotto quale bandiera stai combattendo, quello che conta è porre fine alla barbarie e tornare a casa ognuno dalla propria Lili Marleen.

Ecco, non sarebbe male se il 25 aprile, anziché un giorno divisivo in cui ci si accapiglia sull’interpretazione di ciò che è successo quasi un secolo fa, diventasse un momento di riflessione in cui ci si propone di porre fine a guerre e distruzioni, anziché continuare a sostenerle e alimentarle (nel 2022, grazie alla guerra in Ucraina, si è battuto il nuovo record mondiale di spese militari toccando la cifra monstre di 2240 miliardi di dollari).
O, a partire da ciò che è stato, la liberazione viene declinata al futuro e si traduce in una battaglia incessante per abbattere barriere, steccati, privilegi, diseguaglianze in tutto il mondo, a prescindere da interessi economici, alleanze e calcoli politici, o non ci sarà mai vera Liberazione e avremo tradito gli ideali della Resistenza. 

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