David Lynch e il cinema dell’incompossibilità

Lynch - Twin Peaks

È stato lo stesso Lynch ad aver proposto, per rendere conto della costruzione narrativa e visiva dei suoi film, l’immagine del nastro di Moebius, ovverosia di una figura le cui superfici, interna ed esterna, non sono separate da alcun bordo, ma trapassano l’una nell’altra senza soluzione di continuità. Lo spettatore è costantemente trascinato dal flusso delle immagini, e lo schermo diventa una specie di membrana osmotica che coincide direttamente con la retina dello spettatore. Forse, quando parliamo dell’opera di Lynch, non è neppure corretto usare il termine spettatore, dato che l’esperienza a cui ci sottopone è quella di una torsione continua della nostra posizione, fino al punto in cui non è più possibile individuare un occhio a cui appartiene lo sguardo che inquadra il campo del visibile. Non bisognerebbe del resto dimenticare come la pellicola cinematografica sia, conformemente al suo etimo, una “piccola pelle”, di cui, per quanto sottile essa sia, non si potrà mai escludere che essa abbia a degenerare e accrescerci metastaticamente fino a identificarsi con quello stesso interno che essa dovrebbe invece contenere. Il che equivale ad ammettere che il passaggio dal recto al verso possa avvenire in un punto qualunque, con un détournement improvviso, letteralmente inesplicabile e imprevedibile.

Nella sua configurazione più canonica ed emblematica, commenta Žižek, quella delle storie di detection, dopo lo shock dell’omicidio che spezza la catena di nessi causali dei significati, la suspense lynchana indica proprio la necessità di ri-simbolizzare il trauma di questo passaggio improvviso e reintegrarlo nell’ordine simbolico. In termini lacaniani si potrebbe dire che il rapporto con la realtà iper-mediatizzata in cui siamo immersi si configura tendenzialmente secondo schemi di prevedibilità, se non addirittura di addormentamento (Lacan parla esplicitamente di “sonno dell’io”), nel senso che nella nostra frequentazione abitudinaria della Realtà (così come in quella di un mondo narrativo) tendiamo ad “addormentarci”, cioè presupponiamo che la Realtà risponda a un certo ordine naturalmente evidente che diamo per scontato. La Realtà è qualcosa che non ci sorprende e che risponde a uno statuto di percezione canonico e regolare garantendoci un rapporto sufficientemente stabile con il mondo (e con il film).

La finalità principale della suspense lynchana è legata allora all’emergere di una crepa del simbolico che scardina la coesione dei significanti della Realtà. In questo senso la suspense è associata a un trauma che introduce nella nostra vita una discontinuità che spezza il sonno routinario della Realtà. Il cinema di Lynch è caratterizzato dal prorompere di una dimensione incubotica e fantasmatica che scardina le categorie (innanzitutto linguistiche) del nostro rapporto abitudinario con il mondo.

Ma attenzione. I livelli di realtà che Lynch mescola tra di loro, non sono contradditori, quanto tutti occupanti, a dispetto della loro incompossibilità, un medesimo piano ontologico, le cui coordinate non coincidono evidentemente né con quelle che cartesianamente definiscono lo spazio (e il tempo) al cui interno ci muoviamo, né con quelle attorno alle quali si organizzano i nostri vissuti psicologici e la nostra esperienza interiore.

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Come avviene nella meccanica quantistica e nel fenomeno dell’entanglement, nel cinema di Lynch viene apparentemente sospeso il principio di non contraddizione, e due situazioni narrative inconciliabili possono trovarsi a coesistere tra di loro e godere di uguale dignità ontologica. L’immagine del resto non è mai soltanto immagine di qualcosa, ma è già in sé qualcosa e pertanto non ha bisogno, per esistere, di alcun correlato reale.
La nostra realtà è sempre un tutt’uno, un intreccio del “come stanno le cose”, ovverosia della oggettiva serie degli eventi che costituiscono le nostre vite, e della nostra interpretazione soggettiva, influenzata dai nostri desideri, dalle nostre proiezioni immaginarie. È proprio nella misura in cui esso scinde nettamente queste due dimensioni per poi presentarle disgiuntamente, l’una accanto all’altra, che il cinema di Lynch produce il suo shock straniante, paragonabile all’effetto che ci procurerebbe la visione di un corpo disossato, la cui carne e i cui muscoli stessero indolentemente accanto allo scheletro che ordinariamente li sorregge.

da Suspense! Il cinema della possibilità, Orthotes editrice (2016).

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